Monte Forcellone

Una entusiasmante e "buia" escursione nel nulla quasi totale.

Una finestra di bel tempo situata nella Domenica del primo week end dell’anno ha risvegliato il torpore delle feste e ha spinto Max e Giorgio ad organizzare la tanto desiderata escursione sul Forcelone e sul vicino Cavallo. Non era mia intenzione uscire in montagna, nere nubi si addensavano nel mio stato d’animo, ma un po’ per reazione alla malinconia un po’ per timore che la stessa degenerasse in una sorta di rifiuto autolesionistico, quando mi è arrivata la telefonata di di Giorgio ho aderito di slancio. In effetti dopo un sabato uggioso fino alla pioggia, la giornata domenicale si è presentata all’insegna del cielo stellato. Alle 5 di mattina sotto da Giorgio per essere alle 6 meno venti al casello di Anagni per raccogliere Max. Come sempre eravamo in anticipo sul ruolino di marcia. Superato Picinisco il timore di Max era che la stretta e sinuosa stradina per salire ai Prati di Mezzo non fosse completamente libera dalla neve e da ghiaccio. I timori erano fondati, gli ultimi chilometri della strada hanno riservato qualche difficoltà per via del leggero strato di neve presente, ma complice la temperature non molto basse siamo riusciti a salire fino al parcheggio senza l’uso delle catene. Alle 7,15 eravamo sul sentiero per il Forcellone. Scendendo a sud il cielo si era coperto, così come mi aspettavo, ma solo lontane e nere nubi verso il mare davano qualche motivo di preoccupazione. La prima parte del percorso si snodava su un ampio sentiero coperto di neve non molto dura che rallentava un po’ l’andatura. Attraversava un bosco fiabesco di faggi ricoperti ancora della neve dei giorni precedenti. Nel giro di quaranta minuti siamo usciti dal bosco e la nostra prima meta, il Monte Forcellone si manifestava davanti a noi con la sua famosa parete nord piena di canalini e canaloni più o meno ripidi e più o meno famosi perché teatro di qualche tragedia di montagna. Non abbiamo nemmeno avuto il tempo di concertare il percorso che qualche nube si addensava già in vetta. L’intenzione era quella di attaccarlo per il famoso canale centrale, la direttissima, ma in soli cinque minuti ci è completamente svanito alla vista avvolto dalle più dense nubi. Abbiamo optato per il classico percorso di salita che sfrutta la spalla sinistra rispetto alla vetta, che attraverso una prima gobba sfrutta la cresta est del monte per raggiungerne la sommità. Nel mezzo della conca, mentre cerchiamo di avvicinarci alla già citata spalla veniamo avvolti anche noi dai primi sfilacciamenti di nubi. In meno di dieci minuti siamo spariti dal mondo e il mondo è sparito a noi. Solamente l’immagine della montagna di pochi minuti prima ci rimaneva insieme alla precisa conoscenza che Max aveva del monte. Senza perderci d’animo e contando sempre di più sull’esperienza di Max abbiamo costantemente progredito senza indugi sul crinale est. La visibilità ora sembrava tornare ora diventava minima. Mai ci permetteva di godere della parete nord del Forcellone. Nella giornata mai più avremmo avuto modo di vederne i famosi canali di salita. Subito dopo la prima gobba la neve si fa dura e ben presto affiora il ghiaccio. In un tratto discretamente ripido una provvidenziale roccia ci da modo di sistemarci per indossare i ramponi. Da li in avanti, nonostante la pendenza si facesse accentuata e lo stato superficiale estremamente ghiacciato il progredire è stato costante e sicuro. Solamente più in alto, nella conca che precedeva la cresta principale e nell’ultimo verticale attacco alla cresta stessa abbiamo trovato accumoli di neve molle che ci ha riservato qualche problema di troppo. In questo tratto io e Giorgio ci siamo separati andando in direzioni completamente opposte. Lui ha puntato una direzione molto più verticale rispetto alla cresta mentre io ho scelto un traverso cercando di raggiungere una roccia affiornate alla mia sinistra. La neve arrivava alle ginocchia e avanzare era sempre più difficoltoso. La speranza che avevo era che in prossimità della roccia ci fosse del ghiaccio dove far attaccare i ramponi. In prossimità della roccia lo spessore di neve fresca aumentava e a tratti sprofondavo fino all’inguine. Giorgio e Max saprò dopo non se la passavano meglio. Comunque dopo una decina di metri di avanzamento, lentissimi e sudati l’impressione era quella che lo strato nevoso diminuisse. Vicino alla roccia ritrovavo la consistenza del ghiaccio e la prossimità della cresta con i venti che probabilmente avevano fatto il loro dovere ritrovavo addirittura il vetrato del ghiaccio. Ancora pochi passi finalmente certo e sicuro che ero in cima alla rotonda cresta. Davanti a me il crinale ancora in salita che preludeva il raggiungimento della vetta. Nel frattempo sentivo solo lontane le voci di Giorgio e Max. Erano incappati in un autentico muro di neve fresca. Più o meno erano nelle mie condizioni precedenti solamente con una pendenza ancora più accentuata. Dopo una decina di minuti, praticamente nuotando nella neve Giorgio riesce a sbucare fuori e a conquistare la cresta. Max ansima dietro di lui e ci raggiunge. Prendiamo per la cresta e con pendenza modesta in dieci minuti raggiungiamo la sommersa croce di vetta posta a 2030 metri di altezza. Erano le 10,30. Intorno a noi continuava ad esserci il nulla. Per quello che mi riguardava ero sullla vetta del Forcellone ma potevo essere sul qualsiasi altra vetta di qualsiasi altra montagna del mondo intero. Tutto era uguale. Non c’era profondità, non c’era il sotto e il sopra, tutto aveva lo stesso colore a parte noi tre che eravamo comunque felici di essere lì. Un sacco di foto come al solito e una breve sosta per ripartire verso la sella che unisce il Forcellone al Cavallo. A quel punto eravamo nelle mani di Max perché la geografia del luogo per me e Giorgio, oltre che essere completamente nuova ci era stata anche completamente preclusa dalle nuvole. Max procede spedito nel primo tratto di discesa ma ben presto mi è sembrato di notare qualche titubanza. Era come se il limitato territorio circostante, le rocce, le gobbe, gli avvallamenti non gli parlassero più una lingua conosciuta. Per una mezz’ora siamo scesi descrivendo un’arco verso sinistra, ci siamo incuneati in una valle incassata e ……… nulla era più conosciuto per Max. La bussola mi diceva che il nord era alle nostre spalle e il nord era più o meno la direzione di ritorno. La sola sensazione incantevole era l’inconsistenza del luogo. Incassati in un vallone incontaminato, fatto di gobbe nevose candide dove l’unica traccia di umanità era la trincea lasciata dal nostro avanzare. Confuse nella lattiginosità del momento i pendii circostanti si confondevano nel nulla. Il sole a tratti riusciva a bucare timidamente la cortina nuvolosa dando all’ambiente un’aspetto ancora più irreale e affascinante. Tutto si confondeva nelle tonalità del bianco e solo la nostra fretta di ritrovare la via del ritorno si scontrava con la irreale calma che ci circondava. Se non ci fosse stata la nostra smania di tornare potevamo pensare che il tempo si fosse fermato. Sfumata anche l’idea di raggiungere il Monte Cavallo benché fossimo tutti coscienti di essere non molto lontani dalle sue pendici, decidevo di rompere gli indugi. L’idea di altri tentativi per cercare di ritrovare la direzione mi spaventavano; temevo che errori di valutazione successivi ci avrebbero definitivamente fatto perdere la direzione. Su due piedi ho deciso di ritornare sulle nostre impronte, di riprocedere indietro fino alla cresta del Forcellone e da lì, sfruttando sempre le nostre tracce di salita ritornare a valle. E così è andata; qualche attimo di difficoltà nei tratti di ghiaccio dove le impronte erano quasi invisibili ma alla fine ce l’abbiamo fatta. Le nuvole non ci hanno mai abbandonato nemmeno nel tratto a valle prima del bosco. Le nostre facce erano delle maschere di ghiaccio per la condensa che si era andata solidificando sui baffi e sulle sopraciglia. Ma ancora una sorpresa ci attendeva. All’ingresso del bosco la nebbia diventava ancora più grigia; probabilmente le nere chiome spoglie degli alberi lasciavano filtrare ancora meno luce. E l’intorno prendeva i contorni di una bruma scozzese, di quelle situazioni uggiose viste nei film, con degli scorci qua e la più luminosi e poi improvvisamente di nuovo grigi tenebrosi. La neve ghiacciata sui rami faceva il resto. Percorrere l’interno del bosco in quella atmosfera equivaleva a rivivere tutte le fantasie fanciullesche dei boschi dove vivevano tutti i più pericolosi draghi nemici degli uomini. La poesia e la solitudine erano imperiosi. Nessun rumore, nemmeno il vento a disturbare una quiete irreale ma affascinante. Ho scattato foto per cercare di fermare quei momenti ma ero altrettanto consapevole che non avrebbero reso la realtà una volta riviste. Ai Piani di Mezzo la nebbia è sparita. Le nuvole sono tornate alte e tutto il mondo ha ripreso a vivere con i contorni abituali. Un piazzale lasciato vuoto era ora pieno di auto. L’aria sottile del luogo era violentata dai gas di scarico di alcuni grossi mezzi spalaneve. Bambini chiassosi giocavano con la neve nell’unico modo per loro ancora conosciuto. Il ristorante era pieno di gente allegra che ha deciso di vivere la montagna standosene seduta sotto un tavolo al caldo di un grande camino e il bar ci ha regalato l’ultimo vero contatto col luogo. Tre anziani signori del posto frequentatori della montagna ci hanno sciorinato alcune tragedie verificatesi sul Forcellone e sulla Meta. Come dire? La giornata è finita fin troppo bene !!! Il tempo di un ponch caldo e fumante all’arancia per riprendere temperatura e per scacciare le iatture dei tre signori ed eravamo sulla via del ritorno alle 14 e poco più.